MITA. Museo Tappeto Antico

Museo Franca Ghitti
Davide Paoletti
Pubblicato il Pubbl. il 02.10.2023
Brescia Permanente
A Darfo la celebrazione di Franca Ghitti, l’artista dei segni come altri alfabeti.
L’inaugurazione del Museo Ghitti viene affettuosamente soprannominata da tutti come il ritorno a casa di Franca. Ma solo giungendo all’ex Monastero di Santa Maria della Visitazione, nel cuore di Darfo, ci si imbatte in numerosi interventi pubblici che l’artista ha realizzato nel corso della sua lunga e prolifica carriera. Franca Ghitti, morta nel 2012, non ha mai davvero lasciato i luoghi del suo cuore che ospitano permanentemente la sua arte come si trattasse di un grande museo diffuso.
La Valle Camonica per Ghitti è sempre stata “la valle”, quella per eccellenza, poiché luogo dell’infanzia e primario contenitore dei codici della sua ricerca artistica. Per chi a Erbanno o Pisogne ci abita, Franca è una presenza fissa da quando ne ha memoria. Probabilmente la zia di qualche amico o ancora la generosa e paziente insegnante che ha fatto sentir loro l’arte più che come una materia, ma una figura vicina.
È ancestrale e simbiotica la connessione che lega Ghitti alle generazioni di uomini che sulle grandi e familiari arenarie hanno inciso storie e rituali che danno luogo al patrimonio comune. Ed è muovendosi con attenzione e rispetto nella storia millenaria della sua comunità che Ghitti realizza il nucleo delle Vicinìe, poste in apertura del museo. Si tratta di sculture in legno bidimensionali che ospitano rattrappite figure umane, dalle linee appena accennate, strette l’una all’altra come a proteggersi. Si ispira infatti alle antiche comunità di mutuo soccorso che grazie a vincoli di solidarietà hanno superato l’epoca delle invasioni barbariche. Queste sorta di altaroli ricordano delle scatole magiche o dei teatrini di Melottiana memoria, ma la principale fonte d’ispirazione, per Franca, rimane la storia della sua terra.
Spesso la ricerca artistica di Ghitti è infatti paragonabile a quella degli archeologici che esplorando gli ancestrali graffiti nella roccia Camuna in essi hanno rintracciato altri alfabeti. Un’inventario di segni e tacche che si ripetono e parlano la lingua del lavoro, sono canti di segantini e fucinieri che si comprendono in quanto membri di una società altra rispetto a quella metropolitana, ma uniti dalla stessa esperienza.
Ma relegare il lavoro di Ghitti ad alcune semplicistiche questioni di folklore comporterebbe dunque silenziare la voce dell’uomo di oggi, che di quella storia generale dell’umanità è un eco ben udibile. Seppur l’esperienza che vive nella propria quotidianità, la nostra stessa, sia all’apparenza più immateriale, i riti che governano il mondo industriale odierno sono gli stessi che l’artista ha rintracciato nei segni scavati nel suo territorio.
La capacità di riformulare i linguaggi arcaici rinsaldandoli alle questioni contemporanee fanno sì che i Tondi, opere realizzate con i fondi delle botti di vino, presentino sulla loro superficie la cadenzata musicalità del lavoro manifatturiero. Le ore d’infanzia passate nella segheria paterna a giocare con le assi di legno scartate hanno risvegliato in lei una naturale predisposizione alla pietas del raccoglitore. Accatastate in disparte, escluse dal processo, portano sulla loro superficie dei segni, simili a quelli sulle rocce Comune.
Recuperando quegli stessi scarti, dalle segherie per la serie degli Alberi così come dalla lavorazione del ferro per gli Sfridi, e ricomponendoli in quanto elementi di una nuova lingua, Ghitti costituisce potenti e alternative grammatiche con cui esprimere la voce della Valle. I grafemi sintattici sono stavolta composti dai materiali d’uso e parlano di quella laboriosa comunità e dell’intelligenza del lavoro manuale.
L’idea di segno su cui Ghitti lavora va però ben oltre quello grafico inciso nel legno, è quello che lascia sul territorio in cui interviene, che contamina le esperienze degli abitanti di quella stessa comunità. E la Valle Camonica ben si presta ad ospitare sulle sue stesse superfici le storie di chi la abita. D’altronde è proprio qui che l’uomo lascia da millenni i segni del suo passaggio, della fatica del suo lavoro.
In un secolo dominato dall’arte delle idee e della scultura come diario personale, Ghitti ripristina il corpo tangibile dell’opera che diventa una mappa dove raccogliere i segni d’espressione di tutte le diverse umanità partendo da quelle della Valle Camonica. Perché per Ghitti la voce della valle, la sua, è sempre stata la voce dell’intero mondo.