The Address

Davide Paoletti

Pubblicato il Pubbl. il 16.02.2023

Brescia Temporanea

Genesis. Le nuove nascite

Il post-human come crescente compenetrazione tra mondo fisico, digitale e biologico in mostra da The Address.

Installation View della mostra. Ph: Petrò Gilberti

Dal 16 febbraio al 6 aprile
Orari: Dal mercoledì al sabato, 11:00/13:00  –  16:00/19:00

 

Alla The Address Gallery sei giovani artisti ri-progettano il corpo partorendo l’uomo del futuro. Generare, nel periodo post umano, copre un quantitativo estremamente ampio di attività possibili. Generare è dare vita, nascere e ancor di più far nascere ed è questo il compito che è stato dato agli artisti che espongono a Genesis. Edoardo Monti, fondatore della residenza per artisti Palazzo Monti, curando questa mostra ci propone ponti volti a collegare mondi paralleli e dialoghi possibili tra ideali immaginifici.

 

Sei artisti nati alla fine del XX secolo: venuti al mondo e cresciuti nell’epoca post-umana. Il post-human è una caratteristica specifica della nostra storicità, ciò che emerge dalla quarta rivoluzione industriale, ovvero la crescente compenetrazione tra mondo fisico, digitale e biologico. Ma ciò che Ludovica Anversa, Salomè Chatriot, Sophie Spedding, Antonia Freisburger, Eliska Konecna e Jacopo Naccarato hanno ricercato non riguarda tanto le scoperte e gli avanzamenti tecnologici dell’epoca in cui vivono, quanto l’impatto che questi hanno sul modo in cui noi post-umani rappresentiamo noi stessi.

 

Noi siamo già cyborg: non abbiamo bisogno di arti protesici o cervelli artificiali, dato che tutto quello che facciamo ai nostri corpi per preservarli e migliorare le nostre vite crea una distanza con la cosiddetta condizione primitiva umana. Non sono stati i pacemaker o le lenti a contatto a fare di noi dei post-umani, ci siamo allontanati dallo stato naturale quando, 5000 anni fa, l’uomo ha creato e adoperato il primo utensile. Continuiamo a spostarci da quell’idea di uomo utilizzando lo smartphone, un prolungamento della nostra mano che altera e muta il nostro modo di comunicare e di comportarci nella vita quotidiana.

Jacopo Naccarato The lookout (Dialogo introverso), IInstallation View della mostra. Ph: Petrò Gilberti

Le opere esposte in Genesis ci indicano come quel dualismo binario tra natura e tecnologia non esista più: queste sono due entità non più distinte che collidono nel cyborg e diventano l’uno il continuum dell’altro. È dalle viscere che nasce l’urgenza espressiva di Ludovica Anversa, che nelle sue opere ritrae figure inquietanti e scheletriche in perenne trasformazione che si celano e convivono nelle profondità del corpo post-umano così come in quello primordiale. Sono reperti della scienza e medicina prima ancora che dell’archeologia quelli a cui Anversa guarda per creare le sue tele. Sfocati sono i loro confini che permettono allo spettatore di interrogarsi su quanto non è dichiarato e disegnare così ipotesi sulle presenze/assenze da cui rimane affascinato.

 

Il lavoro di Antonia Freisburger raggiunge e al contempo prende vita dal tempo zero. L’essere umano è privato della sua forma corporea delineata e non è chiaro se quello che racconta sia un tempo antecedente alla creazione dell’universo o se invece del passato stia guardando al futuro e al domani dell’umanità, d’altronde il tempo percorre sempre una traiettoria circolare. È piuttosto chiara invece l’ispirazione alle narrazioni fantascientifiche, capaci di mettere in atto spiazzamenti della visione comune del mondo.

 

Le figure intrecciate di Eliska Konecna prendono vita grazie all’interessante tecnica di ricamo simile al matelassé che l’artista realizza giocando nello spazio liminale tra la morbidezza del tessuto e la rigida stabilità del supporto in legno. Immaginiamo gli abitanti del mondo post-apocalittico come creature oscure con braccia robotiche e ferite mal ricucite.

 

Le scene e personaggi post-umani che occupano lo spazio nei dipinti di Sophie Spedding sono invece caratterizzate da colori vivaci e ipersaturati che – grazie al particolare punto di vista impiegato dall’artista – attirano lo spettatore nella loro dimensione cedendogli il loro stesso posto nella narrazione.

 

Sono quesiti quelli che sorgono osservando le forme create da Jacopo Naccarato: esseri ambigui nella loro identità, reliquie inquiete di un’umanità un tempo capace di esercitare la propria potestà sul mondo e che ora non ne è che un frammento.

 

I corpi protagonisti del video realizzato da Salomè Chatriot sono la realizzazione delle utopie femministe narrate da Donna Haraway nel suo celebre Manifesto Cyborg. L’artista crea spazi virtuali in cui il binario della carne calda e della tecnologia fredda e senza vita non sussiste più: un ecosistema nel quale queste si plasmano a vicenda come per prepararsi alla quotidianità del domani. Identità fluide e digitali che svolgono una funzione rassicurante nell’immaginazione del nostro futuro. Creature che hanno già attraversato il tunnel e sono quindi reattive e pronte a compiere metamorfosi per sopravvivere.

 

Sono molteplici e differenti i modi che i sei artisti adoperano per raccontare l’atto generativo, perché infinite sono le possibilità di dare vita all’arte così come al nostro domani.